Individuare un professionista “non competente”, nel senso privo degli opportuni requisiti di esperienza e formazione specifica per l’esecuzione di una determinata attività espone l’Amministratore a rischio di “culpa in eligendo” e, conseguentemente, comporta un concreto rischio di “fallimento” dell’iniziativa manutentiva.
Detta circostanza appare ancora più vera e problematica nell’ambito delle procedure di affidamento incarichi per interventi afferenti al c.d. “Superbonus”.
Ecco, quindi, che si tende a fare affidamento a società di servizi di ingegneria, che rappresentano un unico centro di imputazione giuridica degli interessi contrattuali, ma al tempo stesso forniscono ampia garanzia di competenza in quanto i diversi aspetti delle procedure (impianti, strutture, architettura…) vengono curati dai professionisti associati, ciascuno in base alla propria competenza ed esperienza.
Ancora una volta, l’esperienza nasce nell’ambito dei lavori pubblici e passa da un eccesso di regolamentazione (in ambito pubblico) ad una tendenziale “anarchia” (in ambito privato).
La possibilità di costituire società per svolgere servizi di ingegneria e architettura era prevista sin dal 1994, ma solo con la c.d. “Legge Merloni” e il Codice dei contratti pubblici, dette società hanno iniziato ad avere un ruolo rilevante, in considerazione dell’organizzazione dei servizi offerti, che rendono l’offerta professionale più efficace ed efficiente, anche ai fini della partecipazione alle gare d’appalto pubbliche, per le quali la “somma” dei curriculum e delle esperienze dei singoli soci rappresenta un indubbio elemento di vantaggio competitivo.
L’art. 46 del Codice degli Appalti pubblici (D.Lgs. n. 50/2016) definisce le “società di ingegneria” quali «società di capitali di cui ai capi V, VI e VII del titolo V del libro quinto del codice civile, ovvero nella forma di società cooperative di cui al capo I del titolo VI del libro quinto del codice civile che non abbiano i requisiti delle società tra professionisti, che eseguono studi di fattibilità, ricerche, consulenze, progettazioni o direzioni dei lavori, valutazioni di congruità tecnico‐ economica o studi di impatto, nonché eventuali attività di produzione di beni connesse allo svolgimento di detti servizi».
Sotto il profilo soggettivo, bisogna comunque fare una distinzione tra “Società di ingegneria”, “Società di professionisti” e “Società tra professionisti”.
Queste ultime prevedono l’esercizio di una o più attività professionali regolamentate, con la partecipazione di professionisti appartenenti ad altre categorie professionali, creando una vera e propria società “multidisciplinare” che esercita più attività professionali.
Le “Società di professionisti” sono composte esclusivamente da soci che siano professionisti della sola area tecnica, regolarmente iscritti ai relativi Albi professionali.
Delle Società di ingegneria, invece, possono farvi parte anche soci non professionisti, quindi non iscritti all’albo professionale, ivi comprese le persone giuridiche. In questo caso, i soggetti non professionisti possono essere ammessi soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento e comunque la loro partecipazione al capitale sociale non deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci, che deve essere riservata esclusivamente ai professionisti (Cfr. art. 10 comma 4 lettera b, L. 183/2011).
In ogni caso, le attività “riservate” devono essere svolte da «professionisti iscritti negli appositi albi previsti dai vigenti ordinamenti professionali, personalmente responsabili e nominativamente indicati già in sede di presentazione dell’offerta, con la specificazione delle rispettive qualifiche professionali» (Cfr. art. 24, comma 5 del Codice degli Appalti pubblici) e deve nominare un direttore tecnico (Cfr. art. 3 del DM 263/2016).
Centrale è la nomina del “Direttore tecnico”, che può anche non essere uno dei soci, professionista che sia in possesso di laurea in ingegneria o architettura o in una disciplina tecnica attinente all’attività prevalente svolta dalla società e sia abilitato all’esercizio della professione da almeno dieci anni nonché iscritto, al momento dell’assunzione dell’incarico, al relativo albo professionale previsto dai vigenti ordinamenti, ovvero abilitato all’esercizio della professione secondo le norme dei paesi dell’Unione europea cui appartiene il soggetto.
Orbene, detti requisiti vengono dettati in relazione alla partecipazione a bandi relativi a incarichi di progettazione, concorsi di progettazione e di idee emanati sotto l’egida del Codice degli appalti pubblici, al fine di garantire la qualificazione necessaria a svolgere servizi di ingegneria in ambito pubblico, con trasparenza e certezza del possesso dei requisiti di legge da parte dei professionisti coinvolti.
Viene da domandarsi se dette regole valgano anche per il settore degli appalti privati.
In prima istanza, la risposta dovrebbe essere negativa, posto che – come dice un noto brocardo – ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit (ovvero: quando la legge volle, parlò; quando non volle, tacque). Di conseguenza, se la disciplina appena esposta sulle società di servizi di ingegneria fa riferimento esclusivamente alle società che intendano partecipare ad appalti pubblici, nulla dicendo in merito all’estensibilità della disciplina agli appalti privati, si dovrebbe escludere detta estensione in ambito privatistico.
Sennonché, soprattutto in relazione al Superbonus, stiamo assistendo alla progressiva estensione delle discipline previste per la gestione degli appalti pubblici anche al settore privato, sulla considerazione che, in fondo, i lavori sono effettuati da privati, ma fruendo di “fondi pubblici” (e, mi viene da dire: anche europei, se e quando dovesse essere approvato il Recovery Fund).
Come nel sistema degli appalti pubblici, infatti, anche per l’affidamento e l’esecuzione degli interventi coperti dal Superbonus, il legislatore ha previsto una procedura tale da formare una vera e propria “Blockchain documentale”, che giustifica l’esistenza del credito attraverso la dimostrazione (documentale). Allo stesso modo, con il D.M. Requisiti, il Legislatore ha previsto un espresso riferimento al D.M. 17 giugno 2016, che disciplina il calcolo delle parcelle per la liquidazione degli oneri professionali nell’ambito degli appalti pubblici. E ancora, l’espressa previsione di una asseverazione quale documento rilasciato dal professionista per certificare il possesso di determinati requisiti necessari per poter accedere a detrazioni specifiche oppure per rispondere a dei bandi pubblici di finanziamento.
Tutti questi elementi portano a estendere, in via analogica, tutti i requisiti richiesti per operare nel settore pubblico, tra cui la presenza del “direttore tecnico”.
Permangono, invece, invariati gli obblighi di copertura assicurativa individuali in capo ai singoli professionisti per le attività dagli stessi svolte, pur affiancando l’ulteriore copertura assicurativa professionale prevista in capo alla Società.
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