Con la legge n. 220 approvata l’11 dicembre del 2012, recante il titolo “Nuova Riforma del Diritto di Condominio”, il legislatore è intervenuto parzialmente sull’istituto, “svecchiandolo” lì dove l’impianto normativo era ancora legato ai principi del codice civile del 1942.
Ciò perché ci si è resi conto che Il condominio – definito come un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell’interesse comune dei partecipanti, limitatamente all’amministrazione e al buon uso della cosa comune senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condominio (Cass. N. 7891/2000, 9148/2008) – è istituto dinamico e vivace, proprio come si ravvisa nella sentenza n. 1671/2021 del 4 marzo scorso emessa dall’VIII sezione civile della Corte d’Appello di Roma che quest’oggi proponiamo ai nostri lettori.
La vicenda. Caio, proprietario di un immobile facente parte della compagine condominiale Alfa, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Latina il condominio de quo al fine di impugnare una delibera assembleare approvata in sua assenza, chiedendo – fra l’altro – che venisse dichiarata la nullità, inefficacia e/o annullabilità della deliberazione avente ad oggetto la rimozione di una fioriera posta internamente allo stabile, avente funzione di muro divisorio fra l’area privata di un condomino e la proprietà condominiale.
L’attore, incassato il rigetto della domanda, si rivolgeva dunque alla Corte di Appello di Roma ed eccepiva che il Giudice di primo grado aveva omesso di valutare la questione del decoro architettonico, stravolto con l’esecuzione di tale attività deliberata dell’assemblea, ed aveva ignorato che l’assenza del predetto divisorio floreale aveva – di fatto – determinato “un utilizzo esclusivo di parti comuni nei confronti di una sola condomina” realizzatosi peraltro erroneamente con voto a maggioranza e non con la necessaria unanimità dei consensi, prevista per la costituzione di diritti esclusivi.
Il processo. Orbene, afferma la Corte di Appello di Roma, “tali deduzioni devono essere disattese perchè del tutto generiche, non avendo il condomino appellante indicato in concreto le ragioni per cui l’intervento di rimozione di una fioriera avrebbe l’effetto di alterare il decoro architettonico, costituito – com’è noto – dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali, che costituiscono le note uniformi e dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio e all’edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia unitaria ed armonica”.
Ed inoltre, aggiunge il Giudice di secondo grado, “la lesione del decoro deve essere apprezzabile, situazione che ricorre quando le modifiche siano visibili dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare allo stesso una sua specifica identità”, e pertanto, nella fattispecie in esame, “non risulta che l’intervento deliberato dall’assemblea incida su porzioni immobiliari visibili dall’esterno dell’edificio”.
Quanto alle doglianze sulla ritenuta “innovazione” che avrebbe consentito l’utilizzo esclusivo di parti comuni dello stabile alla condomina “liberata” dai fiori di confine, la Corte di Appello di Roma ha infine sottolineato che “per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono definirsi innovazioni in senso suddetto”.
La Corte d’Appello rigetta la domanda … Il caso analizzato fa emergere, innanzitutto, la querelle sull’annosa causa di liti all’interno dei condomìni per “questioni di principio”, ossia quando ci si convince che il modo soggettivo di concepire un problema o una situazione sia l’unico giusto e quindi l’unico da adottare, sconfessando a priori altri punti di vista.
Ed è assai utile – a tal proposito – ricordare come la stessa Corte d’Appello di Roma, confortata da una consolidata giurisprudenza, abbia affermato che “un capo di una sentenza è validamente impugnato quando dall’atto emerga una manifesta volontà in tal senso e che vi sia un esplicita argomentazione di censura che ne vada a minare le fondamenta logico-giuridico”.
Ma il cuore pulsante della fattispecie in esame – e delle convinzioni degli organi giudicanti – è costituito dall’invocata alterazione del decoro architettonico, questione in grado di generare contrasti proprio perché monca di una definizione normativa, e assolutamente mancante sia dell’oggetto sia delle modalità con cui l’alterazione stessa può essere perpetrata e, conseguentemente, identificata.
Non a caso l’Onorevole Collegio Giudicante ha disatteso le generiche, personalissime e dunque assolutamente soggettive deduzioni dell’appellante in tema di decoro architettonico, stante la mancanza di indicazioni e motivi per cui la rimozione di una fioriera andrebbe ad alterare il decoro dell’edificio, e non a caso – proprio in ossequio a quella dinamicità del diritto condominiale di cui si accennava in premessa – si rafforzano così le basi utili a individuare una ben precisa idea di “decoro architettonico”, potendosi definire tale l’armonia delle linee architettoniche e ornamentali che contraddistinguono un edificio rispetto ad un altro, creando una fisionomia unica unitaria ed armonica.
Ma se ogni fiore che sboccia ci ricorda che il mondo non è ancora stanco dei colori, e se anche la gioia di un fiore può riportarci alla ragione, perchè non spostare le “questioni di principio” sul più naturale, spontaneo e fecondo terreno della bellezza visiva e olfattiva, facendole stemperare mentre si attenua il grigiore di tanti edifici?
La domanda è spontanea, e il decoro è d’obbligo. Anche quello del nostro saper vivere.
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