In materia di esecuzione forzata, il decreto di trasferimento di cui all’art. 586 c.p.c., ancorchè abbia avuto ad oggetto un bene in tutto o in parte diverso da quello pignorato, non è inesistente, ma solo affetto da invalidità, da far valere con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all’art. 617 c.p.c. e ciò anche nell’ipotesi in cui risulti controversa l’identificazione del bene oggetto del decreto con riferimento alla sua estensione.
Inoltre, i beni trasferiti a conclusione di un’espropriazione immobiliare sono quelli di cui alle indicazioni del decreto di trasferimento emesso ex art. 586 c.p.c., cui vanno aggiunti quei beni ai quali gli effetti del pignoramento si estendono automaticamente, ai sensi dell’art. 2912 c.c., come accessori, pertinenze, frutti, miglioramenti ed addizioni, e quei beni che, pur non espressamente menzionati nel predetto decreto, siano uniti fisicamente alla cosa principale, si da costituirne parte integrante, come le accessioni propriamente dette, donde il trasferimento di un terreno all’esito di procedura esecutiva comporta, in difetto di espressa previsione contraria, il trasferimento del fabbricato insistente su di esso.
E così, con queste motivazioni specificate nella sentenza numero 17811-21 resa il 22 giugno scorso dalla seconda sezione civile della Corte di Cassazione, è stato accolto il ricorso presentato dall’acquirente aggiudicatario di un bene proveniente da procedura esecutiva che – all’atto del decreto di trasferimento del bene stesso – aveva inglobato ulteriori altre pertinenze poi risultate nella disponibilità di altri soggetti.
La vicenda prende le mosse da un atto di citazione presso il Tribunale di Macerata, notificato da Tizio nei confronti di Caio e Sempronio, per via della pretesa “accessorietà” di un fabbricato insistente sul terreno aggiudicato allo stesso Tizio, negata da Caio e Sempronio i quali avevano dedotto di vantare diritti sul fabbricato medesimo.
Al Giudice di primo grado veniva richiesto che – accertata la validità del titolo di acquisto (e quindi la proprietà dell’intera particella trasferitagli) venisse dichiarata la impossibilità – per Caio e Sempronio – di rivendicare alcun diritto sulla richiamata particella, sul fabbricato sulla stessa insistente e sulle aree circostanti, “da non intendersi quali pertinenze del citato fabbricato, che avrebbe dovuto considerarsi a sua volta accessorio della medesima particella”.
Il Tribunale di Macerata, dunque, dichiarava ed accertava la validità del titolo di acquisto reclamata da Tizio e, conseguentemente, l’esistenza del suo diritto di proprietà riguardo alla particella risultante dal frazionamento già oggetto del trasferimento, riconoscendo però – al contempo – pure i diritti vantati da Caio e Sempronio e disponendo così la “rettifica” della documentazione attestante le assegnazioni.
Successivamente, la Corte di Appello di Ancona invocata da Tizio affermava di condividere pienamente le argomentazioni del Giudice di primo grado e rigettava il gravame, avuto riguardo all’interpretazione dei titoli di provenienza posti da entrambe le parti a fondamento dei rispettivi diritti petitori, “in relazione alla formazione dei lotti come identificati ed in considerazione della circostanza che, con riferimento al secondo lotto, si faceva esplicito riferimento alle planimetrie catastali dalle quali si desumeva che il fabbricato era dotato di pertinenza esclusiva, non potendo, peraltro, giustificare la possibile formazione di un lotto in cui fosse ricompreso un fabbricato totalmente intercluso”.
Con la sentenza resa dalla Corte di Cassazione, è stato infine però rimarcato che eventuali difformità fra risultanze e consistenza del bene come effettivamente individuate nel decreto di trasferimento rispetto a quelle reali, devono essere fatte valere all’interno del processo esecutivo con gli appropriati metodi oppositivi.
E poiché nella vicenda processuale in esame non emerge che i convenuti si siano avvalsi di alcuna forma di opposizione (che avrebbe dovuto essere quella prevista dall’articolo 617 c.p.c.) per far caducare il titolo formatosi in favore del ricorrente Tizio, la Corte di Appello di Ancona non avrebbe neanch’essa potuto ritenere legittima la statuizione del giudice di primo grado laddove egli aveva ritenuto di poter “rettificare” il decreto rimasto non impugnato.
“Del resto – scrivono gli Ermellini – l’eventuale controversia relativa alla identificazione dell’oggetto della vendita forzata non deve tener conto della volontà delle parti in relazione alla consistenza ed estensione dei beni, bensì deve riguardare solo gli elementi risultanti dagli atti che accompagnano l’esecuzione, e, in via definitiva e prevalente su ogni altro atto pregresso, dal decreto di trasferimento, il che esclude – dovendo le parti riporre il loro affidamento esclusivamente sulle risultanze oggettive di quest’ultimo provvedimento terminativo (indipendentemente dalla volontà e dalle iniziative del precedente proprietario, quale debitore esecutato) – che possa configurarsi una violazione dei principi generali di correttezza e buona fede (di cui, rispettivamente, agli artt. 1175 e 1375 c.c.), i quali – diversamente da quanto affermato nella sentenza qui impugnata – si attagliano propriamente alla dinamica contrattuale.
La Suprema Corte ha così accolto il ricorso proposto da Tizio, ha cassato la sentenza impugnata, ed ha rinviato – anche per le spese di giudizio – alla Corte di Appello di Bologna. Una vicenda cominciata nel lontano 1993, a causa di un trasferimento di proprietà mal congegnato, alla quale non è stata ancora apposta la parola fine. Resta solo un forte monito: prima di aggiudicarvi le proprietà, leggete bene e controllate tutto. Non sempre gli affari sono davvero tali.
Corte di Cassazione sentenza numero 17811-21
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