Il piano “CASE GREEN”
L’obiettivo, stando alle bozze al vaglio presso l’Europarlamento è il raggiungimento del traguardo delle emissioni zero, per tutti gli immobili residenziali dei Paesi membri, in n.3 step:
- entro il 1° gennaio 2030, ottenendo almeno la classe energetica E;
- entro il 2033, con almeno la classe D;
- conseguimento del risultato IMMOBILI A ZERO EMISSIONI, entro il 2050.
Dunque, i primi passi consisterebbero nel raggiungimento, nella scala A1-G, della classe energetica E entro il 2030 e della D al 2033.
Le conseguenze al mancato rispetto dei termini suddetti sono ancora da definire, ma già il semplice fatto che sia stata anche solo presa in considerazione l’ipotesi iniziale (al momento accantonata) di vietare vendita ed affitti delle case senza bollino verde, in quanto italiani dovrebbe preoccuparci.
Rimane in ogni caso credibile ritenere che, nell’eventualità, gli immobili subirebbero comunque un importante deprezzamento.
Il caso “speciale” dell’Italia
L’Italia è un Paese particolarmente a rischio di tali sanzioni, qualunque esse siano: stando ai dati Enea, negli anni dal 2016 al 2021 compresi, circa 3/4 degli immobili residenziali nazionali appartengono alle 3 classi energetiche più basse: quasi tutti sono in classe G (la peggiore).
A differenza, poi, di altri Paesi europei – dove il patrimonio immobiliare è per lo più in mano a pochi grandi proprietari – da noi la proprietà degli immobili è frazionata tra tantissimi soggetti. A tal riguardo si stima che l’85% dei privati abbia una casa di proprietà.
Ritenere, dunque, che da qui a 10 anni, tutti gli edifici interessati possano riuscire a realizzare tali ipotesi di interventi è come minimo utopistico.
È anche vero che l’Italia rappresenta una situazione speciale rispetto agli altri Paesi UE, se non altro per l’immenso patrimonio storico, laddove per tali edifici, operare con interventi di efficientamento energetico si combinerebbe male con la salvaguardia per l’appunto dell’elemento storico.
Il passaggio alla classe A degli immobili implicherebbe la necessità di operare congiuntamente su due direzioni:
- che le abitazioni si dotino di infissi a doppio vetro, caldaie a condensazione e termosifoni con valvole termostatiche;
- che gli edifici vengano equipaggiati di cappotto termico, oltre che di dispositivi per utilizzare fonti energetiche rinnovabili.
Il voto favorevole in Parlamento europeo alle CASE GREEN
L’ITRE, la Commissione per l’industria, per la ricerca e per l’energia del Parlamento europeo, con 49 voti favorevoli, 18 contrati e 6 astenuti ha votato favorevolmente alla revisione della direttiva Ue sulle «case green», per il miglioramento delle performance energetiche degli immobili e questo ha giustamente attirato l’attenzione generale sulla questione.
Difatti, finito il lavoro della commissione tecnica, la proposta dovrà essere sottoposta al voto dell’assemblea plenaria, prevista nella prossima primavera. Dopodiché si potrebbe avere una Direttiva europea ufficiale.
Giova ricordare che per “Direttiva europea” si intende una fonte del diritto dell’Unione europea dotata di efficacia vincolante: in particolare, si tratta di un atto giuridico che stabilisce un obiettivo che tutti i Paesi dell’UE devono conseguire, seppur rimandando ai singoli Stati membri la definizione di disposizioni normative nazionali sul come conseguirlo.
Deroghe all’obbligo di CASE GREEN
È pur vero che, nell’ attuale versione del documento, sono previste per ciascun Paese ipotesi di deroga come ad esempio:
- La facoltà di esentare alcuni immobili di edilizia residenziale, qualora agli interventi necessari all’adeguamento dovessero conseguire aumenti dei canoni di locazione.
- Il limitare le opere al conseguimento – in relazione all’efficientamento energetico – di un «livello che sarà tecnicamente possibile raggiungere», anche se questo dovesse essere inferiore al target indicato dalla direttiva.
Tale eventualità andrebbe però congruamente motivata indicando gli impedimenti – oggettivi e validi – al salto di classe energetica di un immobile (come, ad esempio, il rincaro delle materie prime o l’impossibilità di reperire manodopera qualificata).
Inoltre, tale deroga sarebbe attuabile solo per un massimo del 22% dell’edilizia residenziale (che in Italia consiste in 2,6 milioni di fabbricati) e senza poter superare il termine al momento indicato al 2037.
- La possibilità di esentare:
- edifici storici o dal particolare valore architettonico;
- immobili collocati in aree vincolate o protette;
- strutture considerate temporanee, come ad esempio uffici di cantiere e stabilimenti balneari;
- unità residenziali utilizzate per meno di quattro mesi all’anno o con un consumo energetico previsto inferiore al 25% del consumo (dunque le seconde case, che in Italia sono circa 5,5 milioni);
- luoghi di culto;
Le conseguenze, dunque, di questi nuovi adempimenti che si prospettano, non sono di poco conto e il fatto che non ci sia ancora una normativa ufficiale, non dovrebbe portare l’Italia a sottovalutare la questione per non rischiare di trovarsi impreparati.
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