Tanto tuonò, che piovve.
Intervenuta la firma da parte del Premier Mario Draghi dei DPCM relativi all’utilizzo del Green Pass, sul sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri sono state immediatamente pubblicate le FAQ relative, le quali, anziché risolvere i dubbi interpretativi relativi alla disciplina dell’ingresso negli studi professionali, hanno lasciato aperte alcune questioni di enorme rilevanza pratica.
Come sempre accade, agli amministratori di condominio il compito di interpretare –con una certa dose di coraggio e di fantasia- il senso delle indicazioni governative.
In particolare, se nel caso dei lavoratori dipendenti dagli studi di amministrazione condominiale, risulta agevole individuare gli adempimenti da espletare, ben più complesso è dipanare la matassa con riferimento alle regole che presiedono all’accesso sui luoghi di lavoro dei lavoratori autonomi.
Infatti, nel caso dei dipendenti, gli amministratori/datori di lavoro sono i soggetti ai quali viene attribuito il compito di definire le modalità operative per organizzare le verifiche, anche a campione, circa il possesso del Green Pass.
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Agli stessi viene demandato di prevedere, se possibile, che i controlli siano effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, individuando, contestualmente, con atto formale, i soggetti incaricati dell’accertamento delle violazioni degli obblighi di cui ai commi sanitari.
Oltre all’applicazione denominata “VerificaC19”, saranno rese disponibili a tali fini, per i titolari di studi privati, specifiche funzionalità che consentono una verifica quotidiana e automatizzata del possesso delle certificazioni.
Dal punto di vista sanzionatorio, si legge nelle FAQ, Il lavoratore che non è in grado di esibire il certificato è considerato assente ingiustificato, senza diritto allo stipendio, fino alla presentazione del Green Pass.
Nel caso di strutture con meno di 15 dipendenti, e quindi nella stragrande maggioranza degli studi di amministrazione, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata, il datore di lavoro potrà sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato con il sostituto e, comunque per un periodo non superiore a dieci giorni, rinnovabili per una sola volta.
Nel caso in cui il lavoratore acceda al luogo di lavoro senza green pass, il datore di lavoro deve poi effettuare una segnalazione alla Prefettura ai fini dell’applicazione della sanzione amministrativa.
Il datore di lavoro che non provveda alle predette verifiche, è punito con una sanzione amministrativa che va da 400 a 1.000 euro.
Ben più complesso il caso di uno studio composto da più professionisti associati, senza dipendenti.
In tal caso, attesa l’assenza di subordinati, diventa difficile individuare il soggetto addetto ai controlli.
Nel silenzio dei DPCM, l’ipotesi più logica sarebbe quella di individuare i soggetti responsabili dell’adempimento degli obblighi introdotti, ove esistenti, nei legali rappresentanti dello studio, oppure in soggetti esterni alla struttura, all’uopo delegati.
Restano da disciplinare, oltre all’aspetto appena citato, due ulteriori questioni:
1) il nodo della privacy, che certamente creerà non pochi problemi in ordine alla tipologia dei dati da acquisire, a come trattarli ed al soggetto designato al trattamento;
2) la regolamentazione dell’accesso agli studi da parte della clientela.
Dall’interpretazione delle FAQ, pare possibile dedurre che nei confronti dei clienti permane l’obbligo di adottare il protocollo di cui al DPCM 2 marzo 2021: ossia niente green pass, ma solo misurazione della temperatura e mascherina.
Infine, occorre sottolineare che i protocolli e le linee guida di settore contro il COVID-19, che prevedono le regole sulla sanificazione delle sedi aziendali, sull’uso delle mascherine e sui distanziamenti, non possono, in alcun caso, essere superati attraverso l’utilizzo della certificazione verde.
Dal domani, sapremo cosa accadrà e chi, inevitabilmente, pagherà il dazio maggiore per l’ennesima censurabile produzione del nostro legislatore.
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