Nella recente ordinanza n. 24069 del 03 agosto 2022, la Suprema Corte di Cassazione affronta (e risolve) il delicato tema della posizione dell’ex condòmino nei confronti (della delibera) dell’assemblea condominiale, nel corso della quale si approva il rendiconto della gestione ordinaria, svoltasi successivamente all’alienazione a terzi del suo appartamento.
La vicenda processuale.
La questione giuridica trae origine dall’opposizione avverso due decreti ingiuntivi ottenuti da due condomini (l’uno, il supercondominio all’interno del quale era ubicato l’altro, il condominio di residenza dell’ingiunto) nei confronti dell’ex proprietario, sulla base di consuntivi approvati in assemblee alle quali quest’ultimo non aveva partecipato, in quanto non più condòmino, per effetto dell’avvenuta alienazione dell’immobile di sua proprietà.
Mentre il Giudice di Pace di Milano, dopo aver riunito i giudizi, aveva accolto le doglianze dell’intimato, annullando entrambi i decreti opposti, il Tribunale meneghino, in funzione di giudice del gravame, in riforma della sentenza appellata, aveva ritenuto che le somme ingiunte fossero effettivamente da imputare all’opponente, in quanto riferibili a spese condominiali relative al periodo precedente la vendita, in cui egli era ancora proprietario dell’immobile.
Contro la pronuncia n. 2759/2015 del Tribunale di Milano, ha proposto ricorso per Cassazione l’ex condòmino, ribadendo le difese già poste a fondamento dell’originaria impugnazione.
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La pronuncia della Cassazione.
La Suprema Corte, nel ragionamento giuridico/motivazionale che supporta la pronuncia, parte da due considerazioni di fondo che costituiscono, ormai, principi consolidati nella giurisprudenza di legittimità.
La prima è quella per la quale il condòmino che vende la propria unità immobiliare è tenuto al pagamento delle spese di gestione sostenute nel periodo in cui era proprietario, posto che l’obbligo contributivo per le spese di manutenzione delle parti comuni dell’edificio deriva, non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell’attività di manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell’attività gestionale compiuta (Cass. n. 14531 del 2022; Cass. n. 11199 del 2021).
La seconda consiste nel fatto che il condòmino/alienante non può più considerarsi tale, ma diventa soggetto estraneo al condominio (Cass. n. 23345 del 2008; Cass. n. 9 del 1990).
La posizione di condòmino è assunta, per effetto della cessione, dal nuovo proprietario, ed il cedente non ha più titolo per partecipare alle assemblee condominiali, neanche, come nel caso di specie, a quelle di approvazione dei bilanci, non potendo, per l’effetto, prendere visione dei documenti giustificativi di spesa.
Contestualmente, l’ex condòmino, avendo perduto la qualità di comproprietario, non può più ritenersi vincolato all’efficacia delle delibere, nel senso precisato dal disposto dell’articolo 1137 del codice civile.
Ed allora come tutelare il credito del condominio (per le spese di gestione relative al periodo antecedente la vendita) nei confronti di un soggetto che non riveste più la qualità di condòmino?
Ad avviso della Suprema Corte, la soluzione interpretativa da preferire è nel senso che il fatto che la delibera non sia vincolante per l’ex proprietario significa semplicemente che è possibile sollevare avverso di essa contestazioni liberamente, e non critiche ed osservazioni circoscritte nel rigido ambito delle regole che disciplinano l’impugnativa da parte dei condòmini, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ.
Al tempo stesso, ciò non significa, altrettanto certamente, che la delibera in questione sia del tutto irrilevante nel rapporto di credito/debito tra il condominio e l’ex condòmino.
Al contrario, essa costituisce un documento ricognitivo del credito che, seppure non vincolante nei confronti dell’ex condòmino nel senso sopra precisato, ha tuttavia un valore probatorio intrinseco del credito vantato dal condominio, che il giudice potrà valutare ai sensi dell’art. 116 del codice di procedura civile.
Ne discende che l‘ex condòmino non può limitarsi a contestare il documento nella sua globalità, avendo, al contrario, l’onere preciso di contestare, in relazione al rendiconto approvato, le singole voci di spesa per cui ritiene non dovuti i contributi.
Resta a carico del condominio, in tal caso, l’onere di provare, il fondamento della propria pretesa.
Ciò comporta, per la Cassazione, un’ulteriore decisiva implicazione, ossia la possibilità di ottenere, da parte del condominio creditore, sulla base del documento che costituisce prova scritta del credito (il rendiconto e la delibera che lo approva), il monitorio anche nei confronti di chi non è più condòmino, utilizzando, però, non la procedura implicante l’automatica concessione della provvisoria esecuzione, specificatamente prevista per la materia condominiale dall’articolo all’art. 63, comma 1, disp. att. cod. civ, ma quella ordinaria di cui all’articolo 633 c.p.c.
Sulla scorta di queste considerazioni, la Cassazione rigetta tutte le censure spiegate, sul punto, dall’intimante.
Solo l’accoglimento della doglianza relativa all’errata imputazione di spese individuali in capo al ricorrente, operata illegittimamente dall’assemblea, determina la rimessione al Tribunale di Milano, in diversa composizione, della questione ed il giudicante, nel dirimerla, si adeguerà ai principi di diritto indicati dagli ermellini, provvedendo anche alla liquidazione delle spese di lite.
Stato patrimoniale e analisi di bilancio in Condominio. Formato Cartaceo
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