Il rischio di condotte fraudolente legato alle ipotesi di possibile natura fittizia dei crediti, di cessionari che operino pagando il valore delle cessioni con capitali di provenienza illecita e di attività finanziarie “abusive” perchè esercitate da soggetti privi delle necessarie autorizzazioni, ripropone ed amplifica le già pesanti criticità del Superbonus 110%, il quale – dopo tre lunghe stagioni di decreti attuativi, pareri tecnici, interpretazioni giuridiche e analisi procedurali – sembra ancor più mostrare i suoi tratti complessi e dubbiosi ed appare a molti come una deludente e irraggiungibile chimera.
Questa volta l’allarme viene dalla Banca d’Italia, la cui Unità di Informazione Finanziaria ha evidenziato sul tema – in una apposita e molto analitica comunicazione sulla prevenzione dei fenomeni di criminalità connessi con l’emergenza da Covid 19 – che “occorre in particolare calibrare la profondità e l’intensità dei presidi antiriciclaggio, valutando con attenzione il profilo degli eventuali cessionari che entrano in relazione con i soggetti obbligati, intensificando i controlli rispetto a richieste di sconto di crediti acquistati in precedenza, soprattutto se in misura massiva”.
Se dunque è sceso in campo il massimo Organo di tutela dell’integrità del sistema economico-finanziario del Paese, cui è attribuita unicità a livello nazionale con totale autonomia operativa nelle funzioni di analisi, coordinamento e canalizzazione di dati e informazioni di rilevante interesse pubblico, vuol dire che l’impianto finanziario collegato al Superbonus 110%, unitamente alla mancanza di limitazioni al numero di cessioni ed alla tipologia di cessionari ammissibili, lasciano intravedere più di qualche sospetto circa la effettiva “blindatura” in ordine alla reale correttezza di siffatte operazioni.
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E così, dal momento che la cessione può avvenire in favore di banche, di intermediari finanziari, di altri soggetti non puntualmente identificati quali fornitori di beni o di servizi necessari alla realizzazione degli interventi, di persone fisiche anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, di società ed enti, eccetera, per l’Unità di Informazione Finanziaria “ne deriva l’esigenza di monitorare le operatività connesse con le richiamate cessioni di crediti fiscali al fine di evitare che la monetizzazione dei bonus sia realizzata con capitali illeciti”.
Ma soprattutto, scrive l’UIF, “alla luce di tali possibilità va inoltre attentamente considerata la circostanza che società o enti siano specificatamente costituiti allo scopo di essere impiegati nelle cessioni fiscali”, risultando possibile che attività della specie “siano offerte con il carattere della professionalità e a una pluralità indifferenziata di soggetti (per esempio attraverso la costituzione di appositi siti web o la diffusione di messaggi promozionali anche a mezzo di social network), tanto da destare il sospetto che esse siano esercitate nei confronti del pubblico in assenza delle prescritte autorizzazioni”.
Insomma, mentre lo spettro del malaffare – per bocca delle istituzioni dello Stato – sembra aleggiare sulla già riluttante predisposizione degli italiani a “convincersi” che l’opportunità offerta dal precedente Governo sia una manna dal cielo effettivamente fruibile e alla portata di tutti, continuano numerose le critiche provenienti da “pezzi” della società che dissentono non soltanto sui tempi, ma soprattutto sui metodi e sulle utilità del cavallo di battaglia “tuttogratis” lanciato alla fine della prima tornata pandemica.
E’ il caso delle pratiche commerciali scorrette, denunciato nei giorni scorsi dall’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili in ordine al rilascio del visto di conformità ex art. 119 comma 11 del “decreto rilancio”, per il quale gli utenti che si rivolgono alla banca al fine di chiedere e ottenere la cessione del credito del superbonus si troverebbero “costretti” a rivolgersi a società convenzionate con la banca stessa, invece che al proprio commercialista, con grave danno per gli studi privati.
“Risulta che la scelta delle Società di revisione (e pertanto dei professionisti da esse indicati) con i quali gli Istituti di credito hanno sottoscritto la suddetta convenzione (allo stato attuale il documento non è ancora in nostro possesso), – scrivono dall’Unione Giovani Commercialisti – sarebbe una condizione necessaria al prosieguo della pratica di acquisizione del credito da parte dell’Istituto stesso oppure, in casi meno gravi, farebbe proseguire la pratica con tempistiche notevolmente ridotte”.
Modalità commerciali aggressive? Violazione dei diritti dei consumatori? Lesione del principio di libera concorrenza?
Altri interrogativi ed altra carne al fuoco, dunque, per un Superbonus 110% sul quale i riflettori sono perennemente puntati e per il quale – al cospetto del Governo appena incaricato – si giocherà una importante e impegnativa partita che non potrà non tener conto delle aspettative dei cittadini utenti, ma soprattutto degli interessi portati dalle multidisciplinari competenze di settore le quali – a torto o a ragione – non desiderano perdere la ghiotta opportunità statale dopo mesi e mesi di attesa, dedizione e dispendio di energie per prepararsi al business.
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