Nell’immediatezza, la risposta corretta appare senz’altro quella positiva. Per mille (e più) ragioni. La riduzione dell’aliquota al 90% (o comunque a qualsiasi percentuale inferiore al 110%) modificherà in modo importante le scelte dei committenti.
L’ennesima modifica “in corsa” ha già portato gli istituti di credito a bloccare le nuove cessioni. Le imprese, già provate per aver sostenuto ingenti costi per acquisto di materiali e gestione del personale, sono ormai allo stremo. I committenti, da parte loro, continuano a pretendere di non contribuire economicamente in alcun modo all’esecuzione degli interventi.
Quindi, la risposta non può che essere positiva: il Superbonus è morto.
Voglio precisarlo: ho iniziato a scrivere queste riflessioni il giorno 11 novembre. Riprendo in mano il file solo il giorno 15 dicembre. E rilancio, con quanto avevo già scritto, integrandolo con i pensieri più attuali. Ed invero, con quel pizzico di cinismo che mi contraddistingue, mi viene da ribattere che, in fondo, se qualcosa “muore” significa che, anche solo per un breve istante, è stato “vivo”.
Di contro, mi chiedo se il Superbonus abbia davvero avuto una vita. Per un anno, ovvero sino al Decreto Semplificazioni bis del 1 giugno 2021, il Superbonus è stato bloccato dal requisito della doppia conformità urbanistica e catastale.
Tale circostanza ha messo in luce l’incapacità delle amministrazioni locali (e non solo) di far fronte alle (legittime) richieste di accesso agli atti. Ricordo con tristezza e preoccupazione gli uffici intasati – peraltro in periodo di COVID-19 – dalle istanze, con il personale (rigorosamente ridotto all’osso) spesso in smart-working, che non solo non avevano il tempo di evadere le richieste, ma – si è scoperto – in alcuni casi che non era in alcun modo possibile dare una risposta perché gli archivi erano andati smarriti o distrutti per le più diverse motivazioni.
Sotto questo aspetto, vorrei comunque rilevare come – per la prima volta – ci si è resi conto che lo “stato legittimo” di un immobile costituisce la condizione essenziale per poter accedere ai benefici fiscali (Cfr. art. 9-bis del D.P.R. n. 380/2001, per non parlare delle numerose risposte ad interpello che – dal 1998 in poi – hanno confermato tale circostanza).
Condisco quindi il mio cinismo con quella punta di positività (alla vita) che ogni tanto mi pervade, rileggo l’intera vicenda e ritengo che, in fin dei conti, qualcosa di buono, il Superbonus lo ha portato: un po’ di consapevolezza.
Il settore edile è sicuramente un settore strategico per l’economia nazionale, posto che dà lavoro alle fasce socialmente più deboli, non necessitando di competenze particolari e tenuto conto che il patrimonio edificato nazionale è tra i più vecchi d’Europa.
La filiera edile, come dimostrano i numerosi studi, non esaurisce con la sola attività edilizia in senso stretto, ma si estende alle forniture di materiali (che comprende non solo la rivendita, ma anche la logistica e i trasporti, nonché la produzione) e ai servizi professionali (progettazione, direzione lavori, sicurezza di cantiere…).
Consapevoli dell’importanza del gettito connesso alle operazioni connesse al Superbonus, il Legislatore ha fissato numerosi (ed eccessivi) momenti di controllo e blocchi operativi. Partendo dal DURC di congruità, procedendo con la fissazione di complicati limiti e massimali sui prezzi (con il vantato fine di limitare la speculazione economica), fino alla richiesta di possesso dell’attestazione SOA per poter maturare lecitamente il credito fiscale, le imprese del settore che speravano di poter lucrare sulle operazioni si sono presto dovute ricredere.
Ultimo tassello, dopo un lungo e travagliato iter parlamentare, il 29 dicembre il Senato ha approvato definitivamente il testo della legge di stabilità 2023, ridisegnando profondamente il Superbonus.
L’aliquota viene ridotta al 90%, confermando la possibilità di accesso ai condomini, confermando l’assimilazione – ai soli fini del Superbonus – a tale disciplina anche degli edifici composti da 2 a 4 unità immobiliari aventi unico proprietario.
Ma con alcune complicazioni connesse al (complesso) avvicendamento normativo.
Per usufruire dell’aliquota al 110%, nel caso in cui la delibera di approvazione dell’esecuzione dei lavori sia stata assunta entro il 18 novembre 2022 compreso (ovvero: prima dell’entrata in vigore del Decreto “Aiuti-quater”), la CILAS potrà essere presentata entro il 31 dicembre 2022.
Viceversa, se la delibera di approvazione è stata assunta nel periodo compreso tra il 19 novembre e il 24 novembre 2022 compreso (ovvero: tra la data di entrata in vigore del Decreto “Aiuti-quater” e la data entro cui assumere la delibera), la CILAS avrebbe dovuto essere presentata entro il 25 novembre 2022 (compreso), per usufruire dell’aliquota al 110%.
In tutti gli altri casi, l’aliquota al 110% è applicata alle spese sostenute fino al 31/12/2022, riducendosi al 90% per quelle sostenute fino al 31/12/2023, ulteriormente ridotta al 70% per le spese sostenute nel 2024 e al 65% per le spese sostenute nel 2025.
Per inciso, queste riflessioni vengono chiuse il 29 dicembre 2022.
Ne scaturisce una riflessione: il Superbonus si è rivelato (sin da subito) la classica “Corazzata Kotiomkin” di fantozziana memoria.
Non mi si fraintenda, la misura – in sé – avrebbe anche potuto avere un senso.
Ma, essendo rimasta circoscritta nei limiti di una misura “promozionale a finalità elettorali”, ha assolutamente perduto ogni significato, divenendo più pericolosa che funzionale.
L’aumento vertiginoso dei prezzi era prevedibile da chiunque: se, a parità di offerta, la domanda aumenta, i prezzi aumentano.
Se viene promesso un vantaggio economico maggiore dell’investimento eseguito, sono ben predisposto ad eseguire lavori edili, anche qualora non fossero necessari.
Se si prospetta un aumento dell’indotto lavorativo, questo porterà ad aumentare il numero dei dipendenti… ma non è detto che tutti i dipendenti saranno in regola.
In prospettiva, la soluzione adottata dall’attuale governo non è funzionale. Anzi, non è neppure una “soluzione”, quanto piuttosto una “misura politica” (su cui, in questa sede, non entro nel merito).
Il contenzioso che sta scaturendo dal combinato disposto del DL Aiuti-quater e della legge di stabilità è evidente: dichiarazioni mendaci, assemblee retrodatate, CILAS inadeguate…
Tutto questo per non perdere la “opportunità” di usufruire del “beneficio” nella misura del 110%. Si dice, in questi casi, che «la toppa è peggiore del buco». Ma, probabilmente, non è questo il caso.
Stiamo proseguendo ad utilizzare uno scolapasta al posto del secchiello, per svuotare il mare.
Ben vengano le riforme e le agevolazioni fiscali, ma sarebbe opportuno che i professionisti del settore vengano direttamente coinvolti, ascoltando le necessità di chi – tutti i giorni – risolve i problemi della “gente comune”.
Confidando – vanamente – nel 2023, Buon Anno a tutt*
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