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L’ammanco realizzato dal precedente amministratore va provato sulla base della contabilità condominiale

L’ammanco realizzato dal precedente amministratore va provato sulla base della contabilità condominiale

Solo dall'analisi della contabilità condominiale si può provare un l'ammanco di cassa

Il nuovo amministratore di un condominio, esaminando la contabilità, rileva gravi irregolarità, in particolare un significativo ammanco di cassa. Il precedente amministratore non fornisce spiegazione di tale disavanzo. Il condominio decide dunque di agire nei confronti dell’ex mandatario.

L’amministratore precedente afferma di aver consegnato al condominio tutta la documentazione afferente la propria gestione con il prospetto riepilogativo aderente ai bilanci approvati e di aver provveduto a convocare regolarmente le assemblee.

Il giudice osserva anzitutto che l’azione per il rendimento del conto non discende dal conferimento del mandato, ma sorge dall’esecuzione del mandato stesso da parte del mandatario.

Questi, se convenuto in seguito ad azione di rendiconto, deve fornire la prova non solo dell’entità della causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto sulle modalità di esecuzione dell’incarico utili per la valutazione del suo operato.

Irregolarità contabili e responsabilità dell’Amministratore di Condominio. Rimedi e conseguenze. Formato Cartaceo

È infatti necessario accertare i fini perseguiti, i risultati raggiunti e i criteri di buona amministrazione e di condotta prescritti dall’art. 1710 c.c.; l’art. 1130 bis c.c. prevede le modalità di resa del conto e l’art. 1129 c.c. prevede, fra le cause di revoca, la mancata resa del conto.

Occorre comprendere esattamente come viene ripartito l’onere della prova.

Il condominio che lamenti un malaccorto o, addirittura, infedele impiego del proprio denaro da parte dell’amministratore che l’abbia gestito è onerato della prova che l’esercizio in contestazione si è in realtà chiuso, non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa: o puntualmente riportati nel bilancio successivo come partite in entrata (e poi, a un certo punto, “dispersi”, senza una corrispondente, effettiva partita in uscita) oppure sin dall’inizio fraudolentemente occultati.

Questa prova può essere fornita: sia attraverso la contabilità – se regolarmente tenuta e approvata – e/o i versamenti eseguiti e le uscite comprovate da documenti di spesa; sia attraverso i movimenti del conto corrente.

Il cessato amministratore, per converso, è onerato, in quanto contrattualmente debitore verso il condominio, della propria prestazione (anche professionale) di mandatario, della prova della corretta amministrazione.

Deve dunque provare l’effettivo e accorto impiego di tutte le somme riscosse per pagare le spese di volta in volta preventivate o imposte dall’urgenza, previa puntuale registrazione di ogni singolo incasso – con la relativa provenienza – e di ogni singolo esborso – in corrispondenza di adeguata documentazione giustificativa.

Come detto, costituisce obbligo specifico del mandatario rimettere al mandante “tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato” (art. 1713, co. 1, c.c.); obbligo che non viene meno neanche dopo la revoca del mandato stesso (Cass. civ., 11 agosto 2000, n. 10739).

E’ quindi da considerare che l’approvazione del rendiconto, che il mandatario amministratore è tenuto a rendere ai sensi degli artt. 1130, n. 10, e 1713 c.c., si riferisce a tutto l’operato dello stesso per l’esercizio in questione (ovvero per il singolo periodo di prestazione in cui quell’operato possa frazionarsi).

Ciò comporta (salvo il caso che, all’atto dell’approvazione, il mandante – o, meglio, l’assemblea dei condomini – abbia formulato espresse riserve per quei diritti non attinenti alle partite contabili enucleate nel conto) che il conseguente regolamento negoziale “acquisti valore ed effetto di esclusiva disciplina definitoria di tutti i rapporti derivanti dall’esecuzione del mandato” (Cass. civ., 27 aprile 1982, n. 2634).

In definitiva il condominio, in quanto mandante, è onerato della prova che determinati esercizi si siano, in realtà, chiusi, non già con debiti di gestione, ma con veri e propri avanzi di cassa, o puntualmente riportati nel bilancio successivo come partite in entrata (ma, poi, a un certo punto, “dispersi” senza una corrispondente, effettiva partita in uscita) oppure sin dall’inizio fraudolentemente occultati.

Tribunale Roma)

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Avv. Andrea Marostica

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