Nel caso deciso dal Tribunale di Roma (sez. V, sent. 19.03.2020), un amministratore di condominio aveva esercitato il recesso anticipato rispetto alla naturale scadenza di un contratto stipulato con una ditta di manutenzione ascensori.
Allo stesso tempo, costui aveva poi iniziato un nuovo rapporto con altra azienda, probabilmente di sua fiducia.
Ebbene, successivamente il condominio riceveva dal fornitore “licenziato” la notificazione di un decreto ingiuntivo per il pagamento di fatture rimaste insolute, al quale lo stesso amministratore, ovviamente nella sua qualità di legale rappresentante, decideva autonomamente di resistere, affidando incarico a un legale.
L’azione di recupero della precedente manutentrice si concludeva con la riscossione di tutte le somme richieste, ivi comprese le competenze del proprio avvocato difensore.
Ovviamente, il condominio sopportava le spese del suo procuratore.
Dopo la revoca del precedente e la nomina di un nuovo amministratore, l’ente di gestione proponeva giudizio volto a richiedere indietro all’incauto (ex) amministratore, a titolo di risarcimento danni per mala gestio, tutto quanto pagato in dipendenza del contenzioso azionato dalla “vecchia” ditta di ascensori.
La sentenza, sul punto, da pienamente ragione alla tesi dell’istante, e l’amministratore negligente, rimasto anche contumace, viene condannato sia al rimborso dei detti importi che al saldo delle spese legali.
La pronuncia qui brevemente annotata, è un monito per tutti quegli amministratori che, troppo spesso, affidandosi ai propri poteri di autonoma gestione dei rapporti con i fornitori condominiali, stipulano e sciolgono “allegramente” i relativi contratti, confidando poi nel buon fine delle innumerevoli vicende.
E’ notorio, infatti, come l’amministratore p.t., nei limiti delle proprie attribuzioni (cfr. artt. 1130, 1131 n. 3, 1135 n. 4 c.c.) abbia il potere di rappresentare il condominio gestito dinanzi ai terzi, ivi compreso quello di sottoscrivere, appunto, contratti di vario genere.
Ciò, si badi bene, senza bisogno di alcuna previa autorizzazione assembleare (cfr., per tutte, Trib. Bari, sent. 2158/2008).
Tale assunto, però, non sta a significare affatto che l’amministratore, nell’esercizio di tali attribuzioni, non sia comunque esposto al vaglio di meritevolezza delle proprie scelte (sotto il profilo della diligenza professionale), in termini di pregiudizio economico causato al “suo” condominio.
Nella sostanza, quello appena illustrato è proprio il ragionamento compiuto dal giudice romano.
Costui, infatti, dopo aver dato per presupposto che l’amministratore, in astratto, fosse munito del potere di sciogliere il contratto di manutenzione, ha efficacemente osservato che, nel caso concreto “la scelta della sostituzione, tuttavia, non ha tenuto conto del fatto che il recesso ante tempus avrebbe esposto il Condominio alle pretese pecuniarie della ditta sostituita, ed ha pertanto cagionato un danno al Condominio stesso, danno senz’altro evitabile (non risultano ragioni che imponessero il cambio della ditta di manutenzione, né risulta che le condizioni contrattuali fossero meno convenienti di quelle poi pattuite con la ditta prescelta) e quindi da attribuirsi ad una condotta non rispondente allo standard di diligenza professionale richiesta ad un amministratore di Condominio”.
Quella di sostituire anticipatamente fornitori sotto contratto per “piazzare” ditte di propria fiducia è, inutile nasconderlo, una prassi molto diffusa nel mondo degli amministratori di condominio.
Tale modus operandi non è vietato né sbagliato in senso assoluto.
Prima di compiere certi passi, però, forse gli amministratori dovrebbero meglio valutare il famoso bilancio “costi/benefici”, troppe volte frettolosamente accantonato.
Inoltre, considerando che il condomino è indicato nei rapporti con i fornitori, dalla giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr. Cass. n. 10679/2015), come un consumatore (ex D.lgs n. 206/2005 e s.m.i.), anche una previa analisi legale dei relativi contratti potrebbe risultare determinante ai fini di una scelta conforme a legge.
Infine, tale approccio mentale, a parere di chi scrive, è ormai l’unico rispondente a quella che, sempre più, viene identificata come una vera e propria categoria professionale anche dalla giurisprudenza.
Ciò, si ritiene, al di là delle etichette istituzionali e delle lotte associative intestine per l’adozione (o meno) di un albo o di un registro unico nazionale di categoria.
Un approdo che, ad avviso di chi scrive, l’anima imprenditoriale del settore recepirà, presto o tardi, come inevitabile.
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