In seguito a una segnalazione di alcuni condomini, inserita in un verbale di assemblea, l’amministratore inviava una lettera ad un condomino avvocato invitandolo a rimuovere la targa professionale apposta nel vano antistante il portone e a sostituire la lastra di marmo in tal modo danneggiata.
L’amministratore, nella sua lettera, faceva riferimento al regolamento di condominio che vietava l’apposizione di targhe in quell’area condominiale.
Successivamente la targa veniva asportata da ignoti, contro i quali l’avvocato sporgeva denuncia per furto. A seguito di ciò… la targa veniva riposizionata!
Nel frattempo l’avvocato agiva contro il condominio e contro l’amministratore per eccesso di potere. I convenuti eccepivano che l’avvocato avrebbe dovuto rivolgersi all’assemblea prima di agire in giudizio.
La vicenda (di cui si è occupata Cass. civ., 22 giugno 2011, n. 13689) è curiosa e offre lo spunto per ripercorrere una disposizione molto importante in ambito condominiale, l’art. 1133 c.c. Questa norma stabilisce che i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini e che contro di essi è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti dall’art. 1137 c.c. (cioè per contrarietà alla legge o al regolamento di condominio ed entro trenta giorni).
L’art. 1133 c.c., quindi, afferma che i provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per tutti i condomini. Che sia così è naturale: innanzi tutto l’amministratore è stato nominato dall’assemblea, cioè dal condominio; in secondo luogo esso è normalmente organo di questo ed è, nell’orbita dei suoi poteri, la viva voce dell’ente, i componenti del gruppo come tali ne sono necessariamente soggetti.
Il punto, piuttosto, è stabilire che cosa si intenda per “provvedimenti presi dall’amministratore”.
Non tutti i provvedimenti riconducibili alle attribuzioni dell’amministratore sono inclusi in questa nozione. Bisogna distinguerli sulla base del livello di discrezionalità messo in campo dall’amministratore.
Se si tratta di un provvedimento necessariamente dovuto, poiché c’è stata in precedenza una certa determinazione del volere di un altro soggetto, cioè l’assemblea, allora l’adozione del provvedimento esplica una funzione meramente attuativa, non può essere considerato come “preso dall’amministratore”.
Se, invece, l’amministratore dispone di un potere discrezionale in ordine all’adozione del provvedimento, allora sì potrà dirsi che, alla base dell’atto, c’è stata effettivamente una libertà di determinazione dello stesso, nel senso che il provvedimento risale alla sua personale scelta.
Contro i provvedimenti presi dall’amministratore è previsto, a favore dei condomini, un duplice sistema di impugnazione:
- il ricorso all’assemblea è ammesso per qualsiasi provvedimento dell’amministratore;
- il ricorso all’autorità giudiziaria è ammesso soltanto per i provvedimenti contrari alla legge o al regolamento condominiale e nel termine perentorio di trenta giorni dalla data in cui il condomino ne abbia avuta notizia.
La duplicità dei rimedi è stata spiegata (Salis) con la considerazione che ogni provvedimento illegittimo dell’amministratore può comportare una violazione degli obblighi imposti dal rapporto di mandato, ma può comportare anche la violazione di un obbligo imposto dalla legge o dal regolamento di condominio.
Nell’ipotesi in cui l’amministratore abbia emesso un provvedimento che non avrebbe potuto emettere, ma che in sé non è contrario ad alcuna disposizione del regolamento di condominio e della legge, l’assemblea è arbitra di revocare il mandato od annullare il provvedimento, ma può anche ratificarlo, rendendolo in tal modo obbligatorio per tutti i condomini.
Dunque, come individuare l’impugnazione esperibile? Occorre distinguere due ipotesi:
- se il provvedimento non è contrario alla legge o al regolamento condominiale, il condomino lo può impugnare soltanto dinanzi all’assemblea;
- se invece il provvedimento è contrario alla legge o al regolamento condominiale, il condomino lo può impugnare sia dinanzi all’assemblea sia dinanzi al giudice.
Più precisamente, con riferimento all’ultimo caso, è possibile: ricorrere all’assemblea e successivamente, qualora il gruppo non ritenga di deliberarne l’annullamento, al giudice; ricorrere direttamente al giudice, omettendo il passaggio assembleare.
Il legislatore ha inteso lasciare alla discrezionale valutazione del condomino la scelta tra il ricorso all’assemblea ed il ricorso immediato all’autorità giudiziaria: è stato spiegato (Triola) che si tratta di scelta ovviamente determinata dalla preventiva considerazione della manifesta o presuntivamente prevedibile opinione dei condomini: ove tale considerazione induca il condomino a ritenere che l’assemblea non accoglierà l’opposizione, egli proporrà direttamente ricorso all’autorità giudiziaria.
Nel caso che abbiamo esaminato, l’avvocato che si è visto intimare la rimozione della targa del proprio studio dalle parti comuni ha optato per il ricorso diretto al giudice, il quale però ha ritenuto che nessun atto illecito fosse stato commesso dall’amministratore, che pertanto non è stato tenuto ad alcun risarcimento.
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