La coltivazione domestica di due piantine di canapa indiana sul balcone non è una condotta penalmente rilevante e non costituisce reato a condizione che sia dimostrato l’utilizzo terapeutico e strettamente personale della cannabis, i cui effetti neuroprotettivi ed antinfiammatori giovino alla cura di un grave patologia della retina che affligge l’imputato.
Questo il principio di diritto contenuto nella sentenza n. 2388 del 20 gennaio 2022, pronunciata dalla Corte di Cassazione che ha, così, annullato senza rinvio la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con la quale l’imputato, pur essendo stato assolto dal reato di spaccio di sostanze stupefacenti, era stato comunque riconosciuto responsabile del reato di coltivazione di marijuana, ma non punibile per la particolare tenuità della condotta criminosa posta in essere.
Già le Sezioni Unite, con la pronuncia n. 12348/19, avevano avuto modo di chiarire che le modalità prettamente domestiche della coltivazione ed il modesto quantitativo di prodotto ricavato dalla limitata quantità di piante di canapa consentono di escludere ogni finalità lucrativa e di commercializzazione, essendo, in tali casi, desumibile oggettivamente un uso strettamente personale della sostanza.
Nel caso di specie, ed in applicazione di tali principi, è risultata decisiva la Consulenza tecnica di parte che ha evidenziato come l’imputato, per la patologia che l’affliggeva (grave infiammazione cronica della retina), avesse necessità di utilizzare, a scopo esclusivamente antinfiammatorio e, dunque, terapeutico, i principi attivi contenuti nella cannabis.
L’assenza, inoltre, di elementi tali da far desumere un sia pure indiretto intento di trarre profitto dalla coltivazione, confermata, non solo dal limitato numero di piante detenute (solo due e di ridotte dimensioni), ma anche dall’assenza di ogni accorgimento finalizzato ad incrementare la produzione, hanno indotto la Corte di Cassazione a rivalutare, annullandola integralmente, la decisione del GUP di Palermo.
Non più, dunque, condotta criminosa effettivamente integrata ma non punibile in quanto particolarmente lieve, ma totale esclusione di ogni rilevanza penale del comportamento dell’imputato che, infatti, viene assolto integralmente perché “il fatto non sussiste”.
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