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Sismabonus: il condòmino non può revocare il consenso alla demolizione dell’immobile

Sismabonus: il condòmino non può revocare il consenso alla demolizione dell’immobile

I problemi di salute del proprietario non giustificano il ripensamento e la revoca del consenso

Nelle ipotesi di sisma bonus implicanti la demoricostruzione delle singole unità immobiliari che compongono il fabbricato interessato dai lavori, nonostante il notevole lasso di tempo intercorso tra la delibera e l’esecuzione delle opere, le mutate condizioni soggettive e personali del singolo proprietario (al quale, nelle more, era stata diagnosticata una grave patologia) non giustificano il ripensamento e la revoca del consenso al rilascio dell’immobile da parte di quest’ultimo, ove, a suo tempo, correttamente manifestato.

Questi i rilevanti principi di diritto sanciti dal Tribunale di Sulmona nella sentenza n. 179 pubblicata il 22 giugno 2023 (vedi sentenza in allegato), con la quale il giudice del merito ha rigettato la domanda spiegata dall’attore al fine di fare accertare l’insussistenza dell’obbligo a suo carico di rilasciare l’appartamento di sua esclusiva proprietà in favore del condominio convenuto, onde consentirne la demolizione e la riedificazione, usufruendo delle preventivate agevolazioni fiscali (c.d. sisma bonus), sulla scorta di quanto in precedenza deliberato dall’assemblea dei condòmini.

Le valutazioni del Tribunale abruzzese.

La sentenza in commento si presenta di particolare interesse sotto diversi profili.

In primo luogo, il Tribunale si occupa di esaminare la censura sollevata dall’attore, secondo la quale l’amministratore di condominio, ritualmente costituitosi in giudizio per resistere alla domanda proposta nei confronti dell’ente di gestione, fosse privo di legittimazione per assenza di esplicito mandato in tal senso ricevuto dall’assemblea dei condòmini.

Osserva, al riguardo, il Tribunale di Sulmona come la carenza di specifica autorizzazione assembleare ad agire in via riconvenzionale per ottenere la liberazione della singola proprietà esclusiva non escluda la legittimazione processuale dell’amministratore, atteso che, per costante giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione, sentenza n. 13611 del 12.10.2000), il mandatario ben può adottare, anche in assenza di espressa determinazione assembleare, tutti le iniziative necessarie al fine di garantire la conservazione e la sicurezza delle parti comuni.

Nel caso di specie, l’azione proposta dall’amministratore al fine di ottenere il rilascio dell’immobile del dissenziente, che prima lo aveva garantito attraverso la sottoscrizione della delibera e la espressa manifestazione di assenso ai lavori, salvo, poi, rifiutarlo per motivi personali, era determinata dall’esigenza di assicurare la stabilità e l’integrità statica dell’intero edificio che, senza l’effettuazione dei necessari lavori di consolidamento sismico, sarebbe stata gravemente compromessa.

Pienamente corretta, dunque, l’iniziativa giudiziaria assunta a tutela della compagine condominiale.

La natura del consenso validamente manifestato

Accertata, così, la legittimazione ad agire dell’amministratore pur in assenza di espressa delibera autorizzativa, il giudice abruzzese ha esaminato il secondo profilo rilevante ai fini del decidere: l’efficacia, o meno, della “revoca” del consenso che il condòmino ha comunicato al condominio dopo la sottoscrizione del verbale assembleare.

Preliminarmente, il Tribunale osserva come la questione sulla quale è chiamato a pronunciarsi non attiene al procedimento di formazione della volontà assembleare, e, dunque, a profili di validità (o meno) della delibera, in quanto si tratta di atto dispositivo di porzioni dell’edificio di proprietà esclusiva, e ciò, ovviamente, esula dalla competenza dell’organo deliberativo, pienamente competente, invece, a deliberare l’esecuzione dei lavori di radicale ristrutturazione, determinati dall’esigenza di garantire la sicurezza dei condòmini.

Per converso, ad avviso del giudicante, l’avvenuta manifestazione d’assenso all’effettuazione dei lavori e, di conseguenza, alla liberazione dell’immobile di proprietà allo scopo di consentire le operazioni, invero piuttosto invasive, è un atto di natura dispositiva della proprietà esclusiva ed individuale.

L’inefficacia della revoca del consenso

Tale assunzione unilaterale dell’impegno (obbligo c.d. di pati) a consentire la demolizione dell’appartamento dev’essere considerata, per il Tribunale, un atto di natura recettizia che, come osservato dalla Corte di Cassazione con orientamento risalente ma non superato (Sentenza n. 556 del 20.03.1962), una volta perfezionatosi, in quanto effettivamente giunto nella sfera di conoscenza dei destinatari (gli altri condòmini), non può essere revocato o posto nel nulla dallo stesso soggetto che ha emesso la dichiarazione unilaterale di volontà, neppure ove motivato dalla sopravvenuta grave malattia.

L’invocazione delle precarie condizioni di salute e della particolare, conseguente, situazione di disagio esistenziale della parte, a causa della sopraggiunta diagnosi di patologia invalidante, non si traducono, di per sé, in incapacità naturale al momento della manifestazione del consenso (validamente prestato), né in vizio del medesimo, posto che non è specificato né quale errore (essenziale e riconoscibile) ne sarebbe derivato, né quale artificio o violenza morale avrebbe inficiato la predetta manifestazione di volontà.

Domanda originaria rigettata, dunque, accoglimento della domanda riconvenzionale e condanna, per l’incauta parte attrice, alla liberazione dell’immobile per consentire la demoricostruzione già deliberata, oltre che al pagamento delle spese di lite in favore della controparte.

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Avv. Roberto Rizzo

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