Dubbi enormi, domande continue, richieste insistenti, interpretazioni contrastanti.
Sulla lecita o vietata convocazione delle assemblee condominiali si sta giocando la non facile partita fra amministratori buoni e cattivi, coscienti e incoscienti, professionali e scansafatiche.
Si sta operando una sfiancante caccia alle streghe per individuare le responsabilità che frenano e rimandano l’accesso ai bonus governativi promessi dal Governo per l’auspicato rilancio del comparto edilizio.
Si sta smontando quella socialità un po’ colorita e ribelle che da sempre consente al popolo dei comproprietari di presentarsi in tribuna per celebrare le ragioni individuali dopo aver studiato la migliore linea di attacco o di difesa.
Nel frattempo si cercano nuove strade, e la legge 126 dello scorso 13 ottobre ha modificato l’articolo 66 delle disposizioni attuative del codice civile, introducendo finalmente l’assemblea in modalità di videoconferenza.
Il nuovo però spaventa sempre, e mentre le riunioni da remoto restano al palo perché ammissibili solo con il consenso della totalità dei partecipanti al condominio, i gestori della cosa comune permangono stritolati fra il fare, il non fare e il come fare.
Punto e a capo. Ci mancavano le zone rosse, arancioni e gialle a complicare la vita degli amministratori condominiali, già impegnati in estenuanti confronti interpretativi che travalicano i confini del rapporto di mandato e si spostano finanche all’analisi preventiva delle statistiche sui contagi.
Ma come si fa a conoscere in anticipo il possibile cambio di colore della propria regione? E come si fa a consentire la presenza assembleare di comproprietari residenti fuori dal presidio immobiliare in gestione?
Le riunioni private in presenza non sono espressamente vietate, ma sono fortemente sconsigliate. Le convocazioni devono necessariamente tener conto delle colorazioni regionali. Le videoassemblee sono possibili solo con il permesso di quelli che non usano il computer.
Nel frattempo, in capo agli amministratori, si profilano responsabilità sempre maggiori sia per il doveroso rispetto della salute pubblica che per il potenziale mancato utilizzo di un superbonus ampiamente spacciato come “tutto gratis”, che nasconde pericolose insidie e pretende massima attenzione e diligenza.
Socialità a tre cilindri e innovazione gestionale prossima allo zero, dunque. Colpa di una normativa scaricabarile che mentre inneggia alla privacy favorisce i delatori condominiali, e mentre si affanna ad “aggiustare” i quorum per i bonus raccomanda di stare bene attenti a riunirsi per deciderli.
Senza contare le rivolte dei condòmini che osteggiano il lavoro dei medici, considerati allo stesso tempo supereroi del tempo pandemico ma anche pericolosi catalizzatori di virus in potenziale dispersione a causa dei pazienti che circolano fra l’androne del palazzo e l’ingresso dell’ambulatorio.
E senza contare le ferme proteste dei chiamati in assemblea per via della pur legittima partecipazione di comproprietari infermieri, anche loro – come racconta la cronaca – improvvisamente demonizzati e considerati untori pur essendo al contempo osannati per il loro quotidiano combattimento in trincea contro i terribili effetti del Covid-19.
In questo guazzabuglio di norme, prescrizioni, richieste e doveri di fare, non fare, come fare, gli amministratori condominiali ci vanno ancora una volta di mezzo e annaspano pericolosamente senza che alcuno fornisca loro una guida autorevole e completa.
La colpa, si dice, è tutta di questo maledetto coronavirus. Meno male che la prolifica attività governativa è così puntuale nel prevedere mosse giuste, regole chiare e consigli sensati. A proposito: quando arriverà un sia pur misero Dpcm sfornato ad hoc per i gestori della cosa comune?
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