Secondo la sentenza in esame (si veda allegato), “la contabilità condominiale è una contabilità semplificata redatta secondo le norme a presidio della partita semplice che è una modalità di registrazione delle operazioni contabili suddivisa semplicemente in entrate ed uscite”. Orbene, è appena il caso di precisare come un tale criterio di tenuta della contabilità non sarebbe affatto in grado di valorizzare le posizioni di debito e di credito dei signori condomini, né le posizioni pendenti verso i fornitori e né i fondi accantonati come, ad esempio, proprio il TFR richiamato nella sentenza. Infatti, tutti questi fatti giuridici danno luogo a fatti amministrativi la cui rilevazione contabile richiede il ricorso al metodo della partita doppia e del criterio della competenza.
Ma non solo. La sentenza arriva a discorrere addirittura della necessità di presentare il Conto Economico all’interno del rendiconto condominiale quando, al contrario, l’art. 1130-bis del Codice civile richiede sì la presentazione del riepilogo finanziario ma che si compone del Conto Entrate e Uscite e della Situazione Patrimoniale e giammai del Conto Economico.
Ecco perché il rendiconto per solo criterio di cassa è sbagliato
Ma se a queste affermazioni del Giudice Capitolino ci siamo quasi abituati, l’aspetto più sorprendente arriva con una affermazione davvero incredibile. Nel dispositivo si legge come “lo stato patrimoniale è un documento contabile schematico che espone le attività e le passività del patrimonio condominiale con espressa indicazione del saldo e cioè del patrimonio netto.”
Ora, con tutto il rispetto sempre dovuto alla Magistratura e alle sue sentenze, questa volta non sì può non rilevare l’assoluta gravità di tali affermazioni. Infatti, il condominio, quale ente privo di personalità giuridica e sprovvisto di autonomia patrimoniale, alla stregua dell’impresa di erogazione, non può conseguire né arricchimenti, né depauperamenti. E, dunque, il suo patrimonio, meramente gestorio, non può che rispondere “permanentemente” alla sola equazione A = P, ovvero senza alcun avanzo o disavanzo patrimoniale, né capitale netto di alcuna provenienza e formazione.
Le mie personali preoccupazioni sono quelle di vedere sempre di più consolidarsi un orientamento completamente errato in materia. E questo, evidentemente, a causa di un elenco di Consulenti Tecnici d’Ufficio del Tribunale di Roma platealmente inadeguato in termini di specialità e competenze su questa materia. Insomma, sono a rischio milioni di rendiconti condominiali a causa di principi assolutamente da censurare sul piano della più corretta disciplina ragionieristica condominiale figlia di quelle necessarie intersezioni tra diritto condominiale e scienza economico-contabile che nulla ha a che fare con queste CTU di stampo aziendalistico-commerciale, lontane anni luce dalle prerogative e peculiarità giuridiche dell’ente condominiale.
Ma non solo. Se si cominciasse a traslare questi principi nei processi penali per appropriazione indebita o nelle domande restitutorie civili nei confronti degli amministratori, potremmo assistere ad una vera e propria macelleria messicana a danno di una intera categoria a causa di una visione aziendalistico-commerciale del rendiconto condominiale propinata da parte di chi di condominio, evidentemente, non ne sa molto.
Quale coordinatore della Società Italiana di Revisione Condominiale Forense avverto il dovere di scrivere ed inviare le più opportune considerazioni scientifiche sul tema al Presidente del Tribunale di Roma.
Dott. Francesco Schena
Società Italiana di Revisione Condominiale Forense
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