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Uso individuale ed esclusivo del muro condominiale perimetrale: entro quali limiti può considerarsi legittimo?

Uso individuale ed esclusivo del muro condominiale perimetrale: entro quali limiti può considerarsi legittimo?

Utilizzo del muro condominiale: identificazione di una innovazione vera e propria

Utilizzo del muro condominiale: identificazione di una innovazione vera e propria.

“La mia libertà finisce dove comincia la Vostra” era solito affermare il reverendo Martin Luther King ed oggi, con un certo timore reverenziale, e con il massimo rispetto che è dovuto alla statura morale del personaggio, proveremo a esaminarne i risvolti pratici in materia condominiale.

Il tema della possibilità di utilizzare in maniera esclusiva ed a proprio personale vantaggio la cosa comune viene, ancora una volta, affrontato dal Tribunale di Roma nella recente Sentenza n. 8452/2020 dell’11 giugno u.s.oggi in commento.

Il caso pratico. Un condòmino, al fine di realizzare un passaggio di comunicazione tra la camera da letto della propria abitazione ed il bagno, al quale si accedeva solo dal balcone esterno, decideva di realizzare, a sue spese, una porta aprendo un varco sul muro perimetrale e portante della camera da letto. A tal fine chiedeva l’autorizzazione dell’assemblea dei Condòmini, la quale negava all’attore tale possibilità con la delibera del 12 dicembre 2017.

Con atto di citazione ritualmente notificato, il condòmino destinatario del diniego conveniva in giudizio il Condominio, chiedendo che la delibera in questione fosse dichiarata nulla e/o annullata, sul presupposto che l’intervento che avrebbe voluto realizzare sarebbe stato, viceversa, pienamente conforme al dettato dell’art. 1102, I comma, c.c. a mente del quale: “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. (…)”.

Si costituiva in giudizio il Condominio resistente il quale, preliminarmente, contestava la competenza del Giudice adito, in favore del Giudice di Pace di Roma; nel merito, in via gradata, contestava l’altrui pretesa ed insisteva affinché il Giudicante riconoscesse la piena legittimità della delibera impugnata, con il conseguente rigetto della domanda attorea, posto che gli interventi edilizi in oggetto avrebbero pregiudicato la stabilità del fabbricato.

Il Tribunale, istruita la causa a mezzo di apposita CTU, rigettava la domanda con conseguente condanna alle spese di parte attrice.

La decisione del Tribunale di Roma. La pronuncia della Corte capitolina pare allo scrivente completa ed articolata, oltre che frutto di un iter logico-argomentativo immune da censure. Rigettata, infatti, sulla scorta di consolidata giurisprudenza di legittimità (tra le tante, si veda Cass.Civ., Sentenza n. 5448/02) la preliminare eccezione d’incompetenza del giudice adito, sul presupposto che la vicenda verte –non sulle modalità d’uso di un bene o di un servizio condominiale da parte del singolo, quanto, piuttosto- sull’esistenza stesa (o meno) del diritto del condòmino di utilizzare in modo più intenso la comune proprietà, il Tribunale si dedica ad un’attenta ricostruzione della fattispecie, partendo dall’analisi sistematica del combinato disposto delle due norme coinvolte nel caso concreto: l’art. 1102 c.c. e l’art. 1120 c.c. In particolare, il Tribunale evidenzia mirabilmente come se da un lato è vero che l’uso più intenso della cosa comune da parte del singolo sia consentito dall’art. 1102 c.c., a condizione che non se ne alteri la destinazione originaria e se ne consenta agli altri il c.d. pari uso, dall’altro è pur vero che le modificazioni che possono essere conseguenza del predetto uso, ai sensi del richiamato articolo, possono giungere a costituire tecnicamente un’innovazione vera e propria, come tale disciplinata dal successivo art. 1120 c.c. In tal caso, ai limiti già evidenziati dal più volte citato art. 1102 c.c., si aggiungono i divieti di carattere generale di cui all’ultimo comma dell’art. 1120 c. c. il quale così recita: “Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.”

Ebbene, questo è proprio ciò che si è verificato nel caso di specie, atteso che la Consulenza Tecnica d’Ufficio, espletata in corso di causa, ha evidenziato come l’apertura di un vano, all’interno di un appartamento privato, ma su un muro portante, e dunque di proprietà comune, ha arrecato grave pregiudizio alla stabilità del fabbricato. Più in particolare, si legge testualmente in un passo della parte motiva del provvedimento: “(…) la realizzazione di un nuovo vano porta delle dimensioni di cm 225×60, fra la camera da letto e il bagno, in uno dei muri portanti dell’edificio, ha recato conseguenze pregiudizievoli per la statica della detta parte dell’edificio (…) in particolare in caso di sisma (…) atteso che la sua realizzazione a soli 43 cm da un preesistente vano finestra della camera da letto ha trasformato la porzione terminale dell’originaria parete portante in una sorta di esiguo pilastro inidoneo a sorreggere validamente, in caso di sollecitazioni, la parte dell’edificio superiore (…)”

Ma vi è di più, posto che, con altrettanta chiarezza, il Tribunale specifica che è sufficiente anche il mero dubbio circa la tenuta statica del fabbricato, in conseguenza dell’intervento del singolo, affinché l’intervento medesimo debba considerarsi non conforme alla legge e, dunque, vietato.

Resta, pertanto, confermato che ove l’uso più intenso della cosa comune, di per sé legittimo, vada ad integrare gli estremi dell’innovazione che altera i parametri indicati nell’art. 1120 c.c., ultimo comma, da intendersi quali baluardi insuperabili a tutela della proprietà comune in ogni contesto della vita condominiale, l’opera realizzata dal singolo è illegittima e, di per sé, vietata.

Da tale impostazione rigorosamente conseguenziale, non può che discendere il rigetto della domanda spiegata dal singolo e la conferma del deliberato assembleare.

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Avv. Roberto Rizzo

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